
Bentrovato Daniele, partiamo subito con la domanda clou che si lega alla presentazione del tuo libro all’interno del castello di Tutino. È “Il fuoco invisibile” il tuo ultimo lavoro che racconta quella che per alcuni è stata definita una vera e propria tragedia per la Puglia. Da dove nasce questo interesse nei confronti del tema della Xylella?
Il lato paterno della mia famiglia è salentino e mio nonno era un olivicoltore, abbiamo visto morire piante che erano nella famiglia da generazioni e a cui eravamo molto affezionati. Questo trauma è il motore segreto del libro. L’ulivo poi è simbolo del Salento e della Puglia e rappresenta una risorsa economica e culturale di grande valore. L’altro aspetto fondamentale è che l’arrivo di Xylella ha creato soprattutto nei primi anni un gigantesco fenomeno di illusione collettiva. È stato qualcosa di così forte e radicale, con effetti così devastanti che meritava di essere raccontato, anche a futura memoria. L’incubo che c’è alla base de “Il fuoco invisibile” è quindi un incubo più ampio e universale della pur gravissima malattia degli ulivi ed è questo: cosa succede quando la comunità in cui vivo incomincia a credere in massa a cose completamente false? Quello che è successo con Xylella non è poi così diverso dal 6 gennaio 2021 a Capitoli Hill, a Washington, o alla colonna infame del Manzoni o al processo delle streghe di Salem.
L’ulivo per tutta la Puglia rappresenta un bene prezioso per questo motivo sono state tante le ipotesi, i dibattiti, i confronti che negli anni si sono susseguiti su questo batterio che ha devastato le coltivazioni pugliesi. Qual è la chiave di lettura del tuo lavoro, ovvero qual è stato l’approccio che hai utilizzato nella tua scrittura?
Ho cercato di adottare un approccio corale e raccontare Xylella quasi come fosse un romanzo a diverse prospettive. Ho raccontato le vite di alcune persone che sono state travolte da queste sorta di tempesta perfetta, persone che sono state parte in causa di quello che è successo e altre che hanno dovuto subire quello che stava succedendo, senza poter opporsi. Per raccontare gli aspetti scientifici legati al batterio ad esempio ho raccontato le vite degli scienziati che l’hanno scoperto e poi sono stati accusati di reati gravissimi, salvo venire poi archiviati anni dopo senza neppure arrivare a processo. Per gli effetti sulla coltivazione dell’ulivo e le conseguenze socio-economiche ho raccontato le vite di molti olivicoltori, mentre per raccontare l’illusione collettiva ho seguito per anni un negazionista e in questo modo ho potuto raccontare in che modo si era formato le sue convinzioni. Ho poi approfondito molti aspetti sulla storia della presenza degli ulivi nel Salento, aspetti che sono semi-sconosciuti quasi a tutti ma sono estraneamente interessanti e spesso in aperto contrasto con quello che pensiamo di sapere sulla natura. Il mio obiettivo era quello di presentare una visione completa della situazione e cercare di capire come sia stato possibile, cosa succeda nel cuore e nella mente delle persone di fronte a crisi come questa.
Quante difficoltà, se ce ne sono state, hai riscontrato nel redarre il tuo lavoro e cosa è accaduto dopo la pubblicazione. Che feedback ci sono stati?
La difficoltà principale direi è stata la mole di lavoro necessaria a scrivere un libro come questo, più di cento ore di interviste, decine di migliaia di pagine di documenti da studiare e migliaia e migliaia di chilometri da percorrere sul territori. E questo solo per le ricerche, poi bisogna ancora scrivere il libro! Devo dire anche che senza la straordinaria apertura e collaborazione dei diretti interessati – ovvero i personaggi del libro – nulla sarebbe stato possibile, sono stati fondamentali e generosi. Dopo la pubblicazione invece direi tutto bene, il libro è stato ristampato più volte, ha avuto critiche eccellenti da colleghi che stimo, ha ottenuto molta attenzione e quello che più conta si diffonde grazie al passaparola di lettori entusiasti. Di tutte le cose positive che possono succedere a un libro quest’ultima è la migliore.
La Puglia non è protagonista inedita dei tuoi lavori. Nel 2015 hai esordito con “Lascia stare la gallina“ pubblicato con Bompiani ( ora Oscar Mondadori), una storia ambientata proprio qui nel Salento. È una terra che ha tanto da dire, in tantissimi aspetti, ma che in questo romanzo ne racconta uno negativo. Nel momento in cui il Salento era sulla cresta dell’onda hai deciso di investire un po’ la rotta con la narrazione. Come mai questa scelta?
La letteratura non ha nulla a che fare con la promozione territoriale, sono anzi due cose agli antipodi, così come la letteratura è agli antipodi di quella “comunicazione” che oggi è così onnipresente e totalizzante. Il marketing vuole raccontare storie positive per aumentare i fatturati di chi commissione le pubblicità, la letteratura invece è un’arte si occupa della ricerca della verità rispetto alla condizione umana e gli esseri umani sono composti di male, di bene e soprattutto di infinite sfumature. Sono, lo ripeto, due attività completamente contrapposte e per quanto mi riguarda non c’è nulla di più terrificante e deprimente di quando l’ottimismo forzato, la retorica e l’ideologia vogliono entrare nell’arte.
È vero purtroppo che esiste una maleducazione culturale italiana che pensa che se si racconta in un libro, in un film, o in una serie un personaggio negativo in un determinato contesto allora si stia parlando male di del contesto. È davvero difficile per me anche solo capire come si arrivai a pensare una cosa del genere. Forse non si è mai letto un vero romanzo, perché è un modo di vedere le cose che dimostra soltanto una cosa: non si ha idea di cosa sia la letteratura.
Per i lettori del castello, un’anticipazione in esclusiva dei tuoi prossimi lavori?
Diverse cose, ma purtroppo non posso parlarne finché non saranno pronte.